IL MANDATO DI ARRESTO INTERNAZIONALE
Per gentile concessione del Nuovogiornalenazionale.it
La Corte Penale Internazionale ha accusato Putin di crimini di guerra.
Il crimine, in particolare, si riferirebbe alla deportazione illegale di bambini ucraini verso la Russia in numero vago, tra sedicimila e duecentomila.
Già l’imprecisione del dato numerico proietta sulla vicenda una luce propagandistica.
Il mandato di arresto
Il mandato d’arresto nei confronti di Vladimir Putin e di Maria Lvova – Belova, la commissaria russa per i diritti dell’infanzia – si struttura sullo schema di fondo per il quale i bambini sarebbero stati usati come bottino di guerra. Se Zelensky parla di una malvagità di Stato, Mosca nega ogni addebito aggiungendo, peraltro, di non riconoscere il valore legale delle decisioni della Corte Penale Internazionale e che l’imputazione è un ulteriore grave ostacolo alla pace.
La Russia (ma a dirla tutta nemmeno l’Ucraina) non ha mai accettato la giurisdizione del Tribunale Internazionale, così come analogo riconoscimento non è mai giunto da parte di USA e Cina.
Dei 193 paesi in cui il Mondo è diviso sono 123 quelli che aderiscono allo Statuto di Roma. Altri 32 hanno firmato ma non ratificato il Trattato e tra questi compaiono, ad esempio, Israele e Sudan.
Tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza hanno aderito alla Corte Penale Internazionale Francia e Regno Unito ma non USA, Russia e Cina.
Quest’ultimo fatto è interessante, perché si tratta delle super potenze che hanno il maggior peso sullo scacchiere mondiale, determinando intemperie, eventi, squilibri, nuovi equilibri, destabilizzazioni, primavere, autunni e inverni e infine guerre, tante, nell’ordine o sarebbe più appropriato dire nel disordine mondiale.
La notizia del mandato di arresto a carico di Putin emanato dalla Corte Internazionale dell’Aia non sorprende. Sorprende, invece, che la decisione sia giunta solo ora. Si tratta di un crimine che se fosse stato realmente perpetrato corrisponderebbe a una delle fattispecie più sofisticate del male: un male che pretenderebbe di assurgere a volontà evoluzionistica e genetica, confondendo il ruolo umano con quello universale, naturale e, per chi lo voglia credere, divino.
Che mistificazione!
Il crimine di cui si parla non è, tuttavia, meno grave dell’atto di uccidere altri esseri umani inermi (o dell’omettere ogni azione che impedisca i medesimi effetti) mediante l’uso della barbarie, perciò aggredendo e violando con razionale sopruso.
Non esiste una sola autorità definibile dall’uomo che possa decidere della vita altrui!
È lecito domandarsi, allora, perché si sia presa la decisione di perseguire il crimine internazionale oggi, omettendo di farlo molto prima per tutto ciò cui abbiamo finora assistito.
Il timore è che si faccia della giustizia internazionale un uso sospinto anche da motivi di opportunità e non solo da desiderio di verità. Riconoscere crimini a danno del diritto internazionale parimenti evidenti nel conflitto russo-ucraino, ma anche in altri conflitti o crisi internazionali, obbligherebbe a portare sul banco degli imputati altri decisori della storia recente, non solo Vladimir Putin. Farlo metterebbe dunque in discussione l’esercizio di altre autorità, alcune di queste a noi non ugualmente avverse.
Appare, allora, che dietro alla decisione di perseguire l’autarca russo per un crimine tanto grave quanto unico vi possano esservi motivi non solo di altissimo principio etico ma soprattutto di prosaica opportunità. Se così fosse, il male, quello profondo che porta ad altro male, non sarebbe risolto! Quella decisione sarebbe, essa stessa, prodromica di un nuovo male!
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