Cosa emerge dall' ultimo report Istat sulla violenza sulle donne
Per salvare una donna vittima di violenza bisogna saper sistema, intercettare i bisogni e capire le difficoltà di chi si espone a denunciare è necessario ridurre i casi di femminicidio. Si tratta di un lavoro strategico tra parenti, forze dell' ordine, sanitari e associazioni che negli ultimi anni ha aiutato a salvare molte vittime. Ancora oggi tuttavia, molte preferiscono non denunciare, tendendosi estorsioni, ricatti, e intimidazioni.
Per questo investire sulla prevenzione e costruire una rete di protezione attorno alle donne è di fondamentale importanza.
A dirlo l' ultimo dato Istat sulla violenza di genere relativo agli anni 2021-2022, secondo cui le forze dell' ordine e i servizi sociali sanitati contribuiscono ad aiutare le donne a rivolgersi ai centri antiviolenza.
I dati dicono che il 26,8 percento delle donne si reca ai CAV autonomamente, il 17,5 percento lo fa con l' aiuto di amici e parenti, mentre il 32,8 percento è guidato dagli operatori sul territorio, siano forze dell' ordine o servizi sociali.
Rispetto agli anni precedenti, le strutture che offrono aiuto sono aumentate, attualmente si contano 373 centri antiviolenza e 431 case rifugio, a cui le donne si rivolgono tramite il numero di emergenza 1522 nel 73.3 percento dei casi.
In maggioranza si tratta di donne con figli a carico nello specifico delle 34500 donne che si sono rivolte ai CAV, 21252 erano con prole. Il ricorso ai servizi specializzati è più frequente nelle donne italiane con un diploma, o una laurea o che sono economicamente autonome, in genere più grandi di età che acquisiscono informazioni e poi prevalentemente in totalmente autonomo, si recano ai CAV per iniziare il loro percorso di uscita dalla violenza. Scegliere di denunciare non è mai facile e spesso molte donne vi rinunciano perché mancano le possibilità finanziarie per essere indipendenti.
Il mondo della scuola, i consulenti, il medico di medicina o il pediatra e le istituzioni religiose intercettano soltanto una quota residuale di donne, ma all' interno della rete possono comunque volgere un ruolo importante non solo migliorando le capacità di individuazione del fenomeno, ma veicolando anche il più possibile le informazioni sui servizi specializzati presenti sui territori. Sfortunatamente risulta disomogenea l' offerta dei CAF e case rifugio tra le regioni. Al sud sono attivi il 30'8 percento dei CAV, a seguire il Nord-Ovest con il 22,5 percento, il centro con il 19,6 percento, il Nord-est con il 16,4 percento e le isole con il 10,7 percento. Rapportiamo l'offerta con la popolazione femminile nelle diverse micro- aree del paese, l' offerta è maggiore al Sud con il 0,17 centri ogni 10000 mila donne è più bassa nel Nord-est e nel Nord-ovest con 0,10 centri ogni 10 mila donne. Molte di queste strutture sono pubbliche, ma sono poche le realtà che riescono a sostenere e molte rendicontano entrate scarse sotto i 10 mila euro. Anche qui la differenza è regionale i CAV del Nord- est hanno più fondi, tra le case rifugio sono invece quelle delle isole a del Centro ad avere più fondi. Un altro importante nodo è costruito dai pronto soccorso a dall' ospedale che tra le regioni in Lombardia , Umbria e Basilicata intercettano le donne rispettivamente nel 31 percento, 33percento e 37 percento.
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