DAL VANGELO SECONDO LA SINDONE Ciò che il Sacro Lino dice della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù e che i Vangeli tacciono

 



La Sacra Sindone è un autentico reperto archeologico, sia pure unico del suo genere, in quanto ha una doppia immagine, frontale e dorsale, in perfetto negativo, prodotta per proiezione ortogonale, che si sovrappone all’impronta sanguigna di settecento ferite rilevate (il che non impedisce che possano essere state molte di più), passata per contatto sul lenzuolo e formante una immagine in positivo. Ben trenta discipline hanno analizzato il lino. In conseguenza di ciò, bisogna ammettere tre cose: che la duplice immagine corporea e la sua impronta sanguigna sono autentici e scientificamente inspiegabili e che la Sindone è una autentica reliquia, di grande rilevanza teologica.

La sintesi di queste tre conseguenze è che la Sacra Sindone ha un significato storico-sacrale di assoluta rilevanza. Da essa, senza troppi infingimenti sulla identificazione del suo Uomo con Gesù Cristo, non solo abbiamo conferme da quanto ci raccontano i Vangeli ma apprendiamo notizie nuove sulla sua Passione, Morte, Sepoltura e Resurrezione che non potremmo sapere diversamente e che non potrebbero così smuoverci dal nostro torpore spirituale, suscitando in noi maggiore amore per Lui: fu flagellato con centoventi colpi di flagrum, avente a sua volta sei terminali di osso o di metallo; fu coronato da spine che produssero perforazioni su un numero di punti del suo cuoio capelluto che va dai cinquanta ai settanta; fu crudelmente percosso in viso e un colpo di bastone gli lesionò il setto nasale, presumibilmente in casa del sommo sacerdote Anna, quando un soldato lo percosse (secondo una traduzione più corretta del verbo greco che di solito è inteso come “schiaffeggiare”); fu crocifisso con chiodi di ferro e dopo la morte si fece scempio del suo cadavere trafiggendone il costato destro con una lancia.

La datazione al C, a suo tempo fatta simultaneamente a Oxford, Zurigo e Tucson e i cui risultati furono poi pubblicati su Nature il 13 ottobre 1988, non può avere valore scientifico per le modalità in cui è stata eseguita e per la sua discordanza con tutte le altre evidenze scientifiche che permettono di collocare il lenzuolo al I sec. e non nel XIV. Da parecchio molti scienziati, compresi alcuni che parteciparono a quell’indagine, chiedono che essa sia ripetuta. Vi è in effetti una scienza autentica, risultante dall’intersecazione di molte discipline e che si chiama sindonologia, la quale, prima ancora di fornire un supporto formidabile alla storicità della Resurrezione di Cristo, studia un reperto unico secondo delle modalità autenticamente valide, cosi da permettere di arrivare a conclusioni obiettive.

E’ dal 1898, da quando Secondo Pia fotografò il lino, che gli scienziati hanno scoperto che esso è un negativo fotografico. Lo studio sistematico iniziò così e raggiunse uno dei suoi punti più alti l’8 ottobre 1978, quando la Sindone fu a disposizione di decine di studiosi per centoventi ore di seguito, che la analizzarono con centinaia di strumenti, ricavando dati che esigettero duecentocinquantamila ore di studio ulteriori e scaglionate nel tempo per essere debitamente esaminati. Il Sacro Lino pone perciò cinque domande, classiche nella ricerca sui manufatti misteriosi: chi l’ha realizzato, dove lo ha fatto, quando lo ha fatto, come lo ha ottenuto e perché ha voluto farlo. A ciascuna di esse si può dare una risposta convincente, ovviamente se ognuno vuole lasciarsi convincere da uno studio che ha implicazioni religiose ed esistenziali, oltre che filosofiche e teologiche.

Il problema dell’origine suppone, come disse il matematico Arnauld-Aaron Upinsky, quattro cause ognuna escludente l’altra: un artista, un falsario assassino, un cadavere di suppliziato e il cadavere di Gesù. L’immagine non è assolutamente un dipinto o una stampa perché la stoffa non ha traccia alcuna di pigmentazione, come attesta l’esame con la fluorescenza ai raggi X, che analizza quantitativamente le specie atomiche presenti. Su tale risultato convergono gli esami radiografici e quelli termografici infrarossi. L’immagine non è nemmeno una strinatura di bassorilievo riscaldato. Se realmente qualcuno, come si è ipotizzato, tra il 1260 e il 1390, avesse riscaldato un bassorilievo a 220° C e vi avesse adagiato sopra la Sindone, per poi simularvi il sangue con pennellate di ocra, avrebbe ottenuto impronte di strinatura che passavano da parte a parte, destinate a sparire progressivamente e con diversa fluorescenza le une dalle altre. La Sindone invece non emette fluorescenza, ha una immagine superficiale che non va oltre due o tre fibrille del lino e il decalco delle ferite ha schermato il tessuto dall’immagine. In sintesi, nessuno ha potuto ottenere l’immagine sindonica con mezzi artificiali, ossia essa non è falsificabile2. Nessun pennello può riprodurre la differenza tra il sangue in fase densa e quello in fase più liquida e chiara intorno. Simili impronte si ottengono solo se un lenzuolo è a contatto con la pelle di un uomo ferito che abbia dei coaguli. La Sindone ha perciò contenuto realmente un cadavere. Il falsario artista della Sindone non è mai esistito: lo Shroud of Turin Research Project (STURP), dopo gli esami dell’oramai remoto 1978 constatò la stabilità termica, chimica e fisica dell’immagine sindonica, oltre alla summenzionata assenza di pigmenti pittorici, nonché l’assenza di direzionalità, l’informazione dei dettagli, il suo già citato carattere negativo e la sua tridimensionalità. In ragione di ciò sappiamo che la Sindone è una immagine non realizzata da mano umana con macchie di sangue per contatto. Un’acheropita. La cui fisiognomica è, peraltro, tipica del medio oriente.

In quanto poi alla sua autenticità, vanno distinti due livelli. Il primo è il suo statuto di unicità archeologica, per cui è autentica in quanto non solo è un capolavoro ma è inimitabile e quindi non è la copia di un originale. Il secondo è che realmente ha contenuto il Corpo di Cristo. Nel Simposio Scientifico Internazionale di Parigi del settembre 1989, organizzato dal Centre International d’Etudes sur le Linceul de Turin, l’ipotesi del falso fu smentita categoricamente. Inoltre vi furono molte e fondate obiezioni di forma e di metodo sul test radiocarbonico, mentre furono rilevate diverse irregolarità compiute nel 1988 nei laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, che rendono inaccettabile il risultato della datazione radiocarbonica. Ben tredici furono le irregolarità compiute dai laboratori, raggruppabili in tre aree tematiche: il modo di condurre il test, gli effetti sistematici di tale modo di cui i laboratori non vollero tenere conto e la contraddizione statistica del risultato.

La Sindone, in quanto non riproducibile, autocertifica, come disse Upinski, la sua autenticità. Infatti l’impronta sanguigna e l’immagine corporea sono il risultato di quattro fasi: l’avvolgimento di un cadavere – attestato dall’impronta di contatto per decalco di almeno settecento ferite – la fine improvvisa di quell’avvolgimento, tra trenta e trentasei ore dopo, come si deduce dal tipo di decalco sanguigno per effetto della fibrinolisi e dall’assenza del minimo segno di putrefazione in un cadavere che, a causa dei suoi fortissimi traumi, avrebbe dovuto iniziare più velocemente; l’uscita del corpo dal lino, avvenuta senza contatto, in quanto non vi sono sbavature né danneggiamenti o strusciate dei decalchi, neanche minimi; il trasferimento dell’immagine dal cadavere al lenzuolo alla fine dell’avvolgimento del cadavere, con un meccanismo inspiegato per cui l’immagine stessa si riscontra anche sui punti del lino che non erano a contatto col corpo e per cui il tipo di immagine che ne è derivata, per ossidazione e disidratazione delle fibrille più superficiali del lenzuolo, permette di postulare l’emissione di luce o di calore o di radiazioni dal cadavere stesso.

E’ evidente a questo punto che la testimonianza medievale del Vescovo di Troyes, il quale, negli anni in cui la Sindone comparve a Lirey nella storia documentata, affermò che essa era un dipinto del cui autore egli conosceva l’identità, è falsa perché nessun pittore poteva dipingere in quel modo. Aggiungiamo inoltre che lo storico Luigi Fossati ha dimostrato che questa testimonianza documentaria è stata confutata ampiamente.

Lo statuto epistemologico della Sindone è popperiano: ha sconvolto quelle leggi della fisica, della chimica e della biologia che l’avrebbero resa impossibile, perché le ha falsificate smentendole. Nello stesso tempo, quello statuto è post-popperiano, è kuhniano, perché essendo la Sindone un unicum, i dati raccolti su di essa ad oggi permettono di essere interpretati solo col paradigma dell’autenticità. La convergenza tra le evidenze del lenzuolo e i racconti evangelici e protocristiani in genere, la sua manifattura tessile tipica del I secolo, il tipo della crocifissione romana, il contesto ebraico, le microtracce dei pollini palestinesi, dell’aragonite, la presenza di due monete romane della stessa epoca sugli occhi del condannato e le scritte latine e greche simili a quelle del titulus Crucis conservato a Roma, l’influenza dell’immagine sindonica sull’iconografia dei primi secoli dell’era cristiana fanno sì che la datazione del lino sia il I secolo e che si possa dedurre con sicurezza il cadavere che essa contenne fu quello di Cristo. Giulio Fanti ed Emanuela Marinelli hanno calcolato, sulla scorta di cento proposizioni a favore e contro l’autenticità della Sindone, che la percentuale di questa stessa autenticità è del 99 virgola 81 volte 9 per cento. E’ ben oltre la soglia della certezza. Superiore a quella richiesta per l’attribuzione di un testo letterario o di una opera d’arte ad un autore specifico o di un delitto ad un assassino.

L’Uomo della Sindone è Gesù di Nazareth e la sua Passione, Morte e Resurrezione ha lasciato sul lino segni visibili tanto realistici e tanto simili a quelli descritti dai Vangeli da costituire un’ulteriore prova della infalsificabilità dell’immagine sindonica. Identificando giudiziariamente la Sindone abbiamo i tre passaggi previsti dalla metodologia connessa: l’autentificazione, compiuta dal British Museum che la tolse dal novero dei falsi; il riconoscimento, che scaturisce dal fatto che tutti i dettagli dell’immagine riportano a Gesù; il risultato, che è l’esclusione del falso, con tanto di sigillo miracoloso, mediante l’uscita del cadavere, evidentemente redivivo, dal lino senza contatto.

La Sacra Sindone è dunque forse l’unica reliquia di Gesù che possediamo con certezza (non escluderei infatti il Santo Volto di Manoppello e il Sudario di Oviedo). E’ una reliquia di contatto, per le trenta-trentasei ore che Gesù vi trascorse dentro da morto, ed è reliquia autentica, perché il lino ha aderito al suo Sangue. Tale sangue ovviamente non è vivo, ma è altrettanto ovviamente autentico nella sua orma. La Sindone documenta i vari passaggi della Passione e Morte di Gesù: ad esempio il modo della Flagellazione, il numero dei colpi, il tipo di flagello, la posizione del condannato, la sua abbondanza di colpi in quanto in origine essa era la sentenza definitiva di Pilato. San Giovanni Paolo II ha esplicitamente definito la Sacra Sindone una reliquia e non una icona, sia pure acheropita, pura e semplice. Essa è strettamente legata alla Resurrezione, perché senza di essa l’immagine sul lenzuolo non si sarebbe prodotta. Avrebbe avuto le macchie di sangue ma non l’immagine e la decomposizione del cadavere l’avrebbe consunta. Gesù, attraverso la Passione, la Morte, la Sepoltura e la Resurrezione, visse una sola esperienza, che in effetti la Sindone documenta nella loro inscindibilità. Non a caso Gesù compare agli Apostoli con le ferite della Crocifissione anche quando è risuscitato. Inoltre la Sindone attesta la discesa agli inferi di Cristo, la separazione dell’Anima dal Corpo, insomma il suo stato di morte, di rigidità cadaverica, che però non produce decomposizione, perché la morte non ha potere su di Lui. La Sindone è un riscontro dell’Incarnazione, un luogo in cui la natura luminosa del Cristo attestata dalla Trasfigurazione è presente nel momento in cui il massimo suo abbassamento è attestato mediante la fissazione delle sue tracce sul lino medesimo. Il sole scintillante del Volto di Cristo, la luce dei suoi abiti sul Tabor sono la cosa più simile alla causa efficiente della Sindone che i Vangeli ci presentano. La Sindone attesta che il Cristo non restò cadavere né si decompose, per cui implicitamente attesta la storicità della sua Resurrezione. Una immagine impressasi per fotoradiazione da parte di un cadavere e la scomparsa di questo senza contatto, per smaterializzazione, con conseguente afflosciamento del lino, sono indizi congruenti con la Resurrezione.


ELEMENTI DEDUCIBILI DALLA FOTOGRAFIA E DALLA MISURAZIONE DELLA SINDONE

La Sindone di Torino, esaminata alla luce della medicina nucleare, rivela l’immagine di un uomo crocifisso. Essa è il frutto di un processo di disidratazione, di ossidazione e di successiva coniugazione con carbonile della cellulosa; la sua origine è ad oggi un enigma. Fino ad oggi il modello di radiazione umana offre la maggiore applicabilità all’immagine sindonica, che non è un manufatto medievale e che si è impressa su di un lino che realmente ha avvolto un cadavere.

Questo cadavere ha creato l’immagine sulla Sindone attraverso l’emissione di energia, che può essere o quella molecolare di legame o quella delle forze nucleari all’interno del corpo, che in qualche modo hanno interagito con la stoffa. Probabilmente queste due forme di energia, emergendo dagli abissi della materia del corpo del cadavere, hanno agito in concomitanza, nello stesso momento in cui quella salma riprendeva vita. La medicina nucleare suffraga questa ipotesi.

Gli esperimenti sono stati effettuati con il Tc-99m, un isotopo metastabile che decade mediamente dopo sei ore rilasciando un solo raggio gamma a 140 keV. Tale isotopo si lega all’osso per assorbimento chimico. Circa il 50% del Tc-99 m iniettato viene assunto dalle ossa. Le immagini di alta qualità sono la conseguenza di un oggetto- bersaglio in ottimale rapporto rispetto allo sfondo, per cui la percentuale del composto Tc-99 m con la proteina e i globuli rossi influisce molto sulla qualità dell’esame dell’osso. Dopo due ore dall’iniezione, il 10% circa del Tc-99m somministrato si è legato alla proteina. Dopo quattro, il 3% della dose del polifosfato dello stesso isotopo iniettata per litro è legato a quella dei RBC e lo 0% è del Tc-99m MDP o HMDP è legato anch’esso. Scansionando sequenzialmente in modo cronometrico così da manipolare la biodisponibilità onde ottimizzare il tessuto molle - ossia il lino - rispetto all’osso, si è visto che dopo i primi quindici minuti le prime immagini avevano una elevata componente di tessuto molle e sangue. Dopo, diminuita la concentrazione nel livello del sangue e nel tessuto molle, la maggior parte dei fotoni vennero dall’osso. Le ultime immagini mostrano i fotoni primari dell’osso con la maggior parte del contributo del tessuto molle attribuito a fotoni sparsi in una angolazione bassa.

Il modello di radiazione umana usata in questa sperimentazione ha generato un numero di caratteristiche tali da creare un parallelo con l’immagine della Sindone. Ossia, tramite questo esperimento, è stato possibile capire come, probabilmente, si sia formata l’immagine sindonica a partire dal cadavere avvolto nel lino, ovviamente a condizione che una forma di energia, contenuta nella materia inerte, si sia improvvisamente sprigionata, per l’unica volta nella storia, per virtù propria o di colui che l’ha creata, evidentemente la stessa persona il cui corpo era nel lino.

L’immagine frontale del corpo sindonico è lunga cento novantacinque centimetri, mentre quella dorsale è di due centodue centimetri, per cui esse non sono compatibili direttamente. Le due immagini sono separate da una zona di non immagine lunga diciotto centimetri. Vi sono distorsioni nell’immagine corporea, in corrispondenza di mani e polpacci, che escludono ancora una volta l’uso di qualsiasi tecnica fotografica per la realizzazione della stessa. L’immagine, non coerente nemmeno con l’avvolgimento del lenzuolo sul corpo, come invece sono le macchie di sangue – che evidentemente si sono formate prima dell’immagine stessa – può essersi formata, peraltro in un modo tanto superficiale, come dedotto dagli scienziati dello STURP, solo con un lampo di energia di direzione verticale. Questo, nonostante che l’Uomo della Sindone non fosse in posizione supina ma con la testa piegata in avanti e con le ginocchia parzialmente piegate anch’esse a causa della rigidità cadaverica e con i piedi distesi per l’inchiodatura. Un manichino antropomorfo computerizzato è compatibile con l’immagine corporea digitalizzata della Sindone e permette di arrivare a delle conclusioni specifiche sulla formazione di quest’ultima immagine. La sovrapposizione di teli sul manichino causa la distorsione della proiezione ortogonale, di circa il 10% in più rispetto alle dimensioni reali. Inoltre è improbabile che il corpo di Gesù sia stato deposto su un letto piano mentre è ovvio dedurre che lo fu su di un letto curvo, a trogolo, presumibilmente ricoperto di fiori, come si arguisce dal ritrovamento di pollini e resti di fiori che nascono in Palestina nel periodo pasquale, oppure su di un letto sì piano ma coperto di natron, ossia di sale nero composto di carbonato di calcio, sodio, potassio e magnesio, usato sempre in Palestina per le sepolture, visto che anche di esso sono state trovate sulla Sindone. Una di queste preparazioni, del I sec. e di ambiente ebraico, o una loro combinazione, si dovette a Giuseppe di Arimatea e a Nicodemo. La seconda ipotesi, quella del natron, è avvalorata dall’analisi dei chiaroscuri dell’immagine corporea dorsale e fa il paio con la superficie del piano della nicchia sepolcrale della tomba di Gesù nella Basilica del Santo Sepolcro.

I successivi confronti tra il telo frontale e dorsale, il manichino antropomorfo e la Sindone hanno evidenziato una compatibilità da cui emergono i seguenti dati: l’immagine sindonica ha indici antropometrici verosimili e quindi è stata generata dall’avvolgimento di un uomo nel lino; quell’uomo, Gesù, era alto 175 cm con un margine di due cm di errore in più o in meno; era stato posto in una posizione conforme a quella di un crocifisso coi piedi distesi in avanti di 34°e 30° con un margine di variazione di 2° in più o in meno, con le gambe parzialmente piegate con un angolo delle ginocchia di 19,5° 23,5° con il solito margine di variazione di 3° e con la testa ricurva in avanti di 30° con un margine di variazione di 4°; che aveva gli omeri di 35 cm – variazione di 0,5 cm- il radio di 26 cm – variazione di 0,5 cm- il femore di 49 cm – variazione di 0,5 cm- e la tibia di 40,5 cm – variazione di 0,5 cm.

Passando poi alla vera età del lino, l’esame delle tecniche di datazione basate sulla degradazione degli isotopi hanno rivelato che i campioni della Sindone datati al C14 nel 1988 rivelano grandi differenze nel contenuto dell’isotopo in questione. Il loro livello scarso rende i risultati di quella datazione assai discutibili. Le differenze si devono al fatto che l’isotopo non è uniformemente concentrato a causa di contaminazioni naturali o artificiali, mentre la concentrazione maggiore è proprio sulle parti di stoffa vicine all’immagine, che però ovviamente non è stata toccata. Questa irregolarità, osservabile su di una striscia di sette centimetri, è presumibilmente estesa a tutta la Sindone, per cui solo l’auto radiografia del lenzuolo, l’analisi isotopica completa di campioni scelti nelle varie parti del lino – dal centro sino alle pezze aggiunte per rattoppi all’esterno, dall’interno alle fibre esterne ecc.- potrebbe mappare radioattivamente la Sindone e conseguentemente datarla.

La pulitura e la ricostruzione computerizzata dell’immagine corporea dell’Uomo della Sindone permette di evidenziare diversi elementi: i supplizi inflittigli (flagellazione e crocifissione); le tracce di sangue corrispondenti ai segni del flagello, alla ferita del costato, a quelle dei chiodi, a quelle della corona di spine e gli aloni di siero, visibili ai raggi ultravioletti; le bruciature dell’incendio di Chambéry che danneggiò il lenzuolo nel 1532 e quelle di altri precedenti incendi, che hanno fatto perdere parte dell’immagine delle braccia e delle spalle; le toppe cucite dalle Clarisse dopo l’incendio nel 1534; altre tracce lasciate da monete, fiori e scritte; la trama a spina di pesce del tessuto di lino. Anche questa metodologia evince che il cadavere fu deposto su di un letto cosparso di materiale soffice.

Degni di nota sono due segni circolari dal diametro di dodici e tredici mm ciascuno, perfettamente sovrapponibili, posti l’uno in corrispondenza della vista frontale dei piedi, l’altro di quella dorsale, ma nei lati opposti a quelli dell’impronta corporea. Potrebbero essere le tracce di sigilli o di monete romane.

Rilevante è anche che tramite la pulitura sul volto si rileva un rigonfiamento, in mezzo alla fronte, verosimilmente per contusione, di solito coperto da una macchia di sangue a forma di 3. Quella contusione deve aver reso ancora più dolorosa, in quella zona della fronte, la coronazione di spine, sia che esse siano penetrate nel capo dopo che si era prodotta, magari per un pugno, sia che la contusione stessa si sia formata quando Gesù cadde lungo la via della Croce, presumibilmente conficcando ancora più profondamente le spine nella sua carne.

La moderna fotografia permette di evidenziare anche alcuni drammatici dettagli del supplizio di Gesù, indizi di sicuri, atroci e inconcepibili sofferenze. Analizzando la parte della mano sinistra nello spazio di Destot, dove è stato infilato il chiodo, si capisce quanto fosse importante per la precisione dell’inchiodamento stesso la centratura perfetta del punto di entrata ben individuato anatomicamente. Purtroppo la perpendicolarità dell’uscita del chiodo stesso rispetto all’asse di legno non poteva essere garantita e quindi il punto di trapasso non poteva essere determinato con precisione. In ogni caso le colature di sangue sono drammaticamente perfette nella loro perpendicolarità all’asse patibolare. Il flusso inferiore del sangue, proveniente probabilmente dalla parte interna del palmo della mano, inizia il suo corso con due rivoli paralleli esattamente alla fine dell’asse patibolare, ossia fin dove il contatto col corpo ne impediva il libero scorrimento. Osservando la parte alta, con la colatura sul dorso della mano, dalla zona di infissione del chiodo essa risulta divisa in due rivoli a causa del sottostante osso sporgente del polso, ossia l’epifisi dell’ulna. Per cui questo dovrebbe essere il punto di uscita del chiodo stesso nella mano sinistra del Redentore.

Un altro dettaglio riguarda una macchia scura nell’angolo interno dell’occhio destro di Gesù. Essa ha contorni netti e ben delimitati, a differenza di tutte le altre tracce sindoniche. L’occhio di Gesù è stato interessato da un fatto di natura traumatica, con conseguente rigonfiamento nella parte sottostante. La conseguenza di tale trauma fu la fuoriuscita di liquido congiuntivale dalla regione periorbitale. Essa è possibile anche dopo la morte. In conseguenza di ciò la staticità del corpo nel sepolcro in posizione orizzontale ha permesso il ristagno del liquido nell’incavo dell’angolo oculare destro. All’angolo opposto dello stesso occhio vi è una seconda traccia avente forma triangolare e anch’essa ben delimitatata. Qui il liquido, non trattenuto da nessuna parte sporgente, colò al lato del volto, lasciando traccia tra le ciglia. Una seconda, ancor più cruenta spiegazione di queste fuoriuscite di liquido congiuntivale potrebbe essere stata una lesione perforante dovuta ad una spina, di cui potrebbe esserci traccia nella parte superiore del bulbo oculare. Un ennesimo, crudelissimo supplizio a cui il Salvatore si assoggettò e che solo la Sindone ci permetterebbe di conoscere e contemplare.


ELEMENTI DEDUCIBILI DA ESAMI CHIMICI E FISICI DELLA SINDONE

Partiamo da una euristica del fenomeno sindonico basato sulla fisica delle particelle. E’ un dato indiscutibile che l’immagine sindonica è stata causata da un’emissione di radiazioni da parte del corpo contenuto nel lino, come se da ogni punto del corpo stesso fosse partito un raggio laser, in direzione verticale verso il telo anche laddove esso non toccava il cadavere. Tali raggi si sono irradiati anche dai lati del corpo e dalla sua parte dorsale, per cui l’immagine che ne è derivata è ricostruibile tridimensionalmente. Le radiazioni, essendo di intensità decrescente, non penetrarono in profondità nel lino, per cui l’immagine rimase superficiale e il tessuto conservò una limitata opacità. E’ sempre la radiazione che, assieme all’esposizione alla luce e all’aria, ha causato la disidratazione e l’ossidazione della cellulosa che si riscontra sull’immagine sindonica. Ciò ha comportato l’ingiallimento della figura, la quale però, in seguito all’esposizione del lino al calore dei raggi, all’inizio non fu visibile. Ragion per cui le fonti neotestamentarie e quelle cristiane antiche, pur menzionando il lenzuolo funerario di Cristo, non parlarono della sua immagine. Essa cominciò a vedersi dopo centinaia di anni. L’immagine ingiallita dipende anche dai carbonili congiunti, ossia alle riunificazioni di atomi di carbonio precedentemente spezzatisi, sempre in conseguenza delle radiazioni e dalla loro temperatura. Inoltre sulla Sindone si può intravedere anche la struttura scheletrica di Gesù, come se il suo cadavere fosse stato una macchina a raggi X che, accesasi di colpo, ha proiettato la sua immagine sul lino a modo di lastra. Considerando la cosa a parti inverse, è impossibile poi che quel lenzuolo non abbia contenuto un corpo reale, altrimenti non si spiegherebbero le macchie di sangue e soprattutto il trasferimento di alcune delle proprietà chimiche e fisiche di un corpo umano al lino stesso.

Il fatto che le radiazioni si siano emanate non solo dal corpo ma dalla sua lunghezza, larghezza e profondità è una evidente prova della Resurrezione di Gesù. Esso conteneva, anzi era esso stesso una sorgente di radiazioni ionizzanti. Sono stati condotti molti esperimenti con varie combinazioni di protoni, neutroni, raggi gamma e particelle alfa (ossia la combinazione di due protoni e due elettroni), i quali hanno avuto effetti su vari lini e tessuti, ma sembra che non siano in grado di imprimere una immagine su di essi. Protoni e particelle alfa possono invece produrre tutte le caratteristiche chimico-fisiche riscontrate nelle fibre del tessuto laddove è impressa l’immagine. In effetti sia i protoni che le particelle alfa non penetrano in profondità per più di due o tre fibre, in quanto nell’aria si indeboliscono. Distribuiscono uniformemente la loro energia nelle fibre e non scoloriscono il tessuto.

Alcuni scienziati hanno suggerito che nel corpo che si è impresso sulla Sindone sia accaduto qualcosa di simile ad una disintegrazione nucleare, istantanea, come se fosse stato acceso un flash da una esplosione. Altri ancora parlano di una pulsazione laser causata dalla evidente smaterializzazione del corpo, divenuto da materia energia pura, nell’arco di un millisecondo. La smaterializzazione del corpo, mediante la suddivisione in particelle subatomiche – protoni elettroni e neutroni- e nei loro composti base – come le particelle alfa – ha implicato, oltre all’evidente sua scomparsa dall’interno del lino senza rimozione, anche la dispersione di alcune di quelle particelle attraverso l’emissione dei raggi gamma, così che si depositassero sul lino imprimendovi l’immagine e le tracce di sangue. Gesù ha smaterializzato il suo corpo come se fosse entrato in un tunnel spazio temporale che lo ha portato altrove. La materia entrò in tale tunnel diventando energia e, uscendone, ritornò materia. Siccome il punto di ingresso coincise col lenzuolo che però rimase materiale, esso accrebbe la sua massa mediante l’assunzione di alcune particelle subatomiche del corpo smaterializzato.

In quanto poi all’impressione delle ferite sul lenzuolo, avvenuta in modo perfettamente corrispondente alla loro dislocazione sul cadavere, con relative tracce di siero e segni di sangue rappreso, nonostante esse siano state inferte, nell’arco di diverse ore, con strumenti diversi e da angolazioni differenti, questo si spiega solo ammettendo che, nel corso della smaterializzazione, il lenzuolo sia collassato sul corpo e vi abbia aderito in un modo infinitamente migliore di qualsiasi sovrapposizione statica. Via via poi che il corpo stesso si tramutava in energia, tracce di sangue sono rimaste sul lenzuolo, prima di poter scomparire col corpo stesso. O forse dovremmo dire che vi furono lasciate, da chi stava risuscitando ed uscendo dal lino, come prova di quello che stava accadendo e che solo millenni dopo la scienza avrebbe potuto tentare di ricostruire.

Questa smaterializzazione è la chiave di volta per enunciare una teoria unica che spieghi quello che Gesù è in grado di fare dopo la Resurrezione, secondo i Vangeli: ritorna perfettamente integro e sano, compare e scompare, attraversa i muri e le porte, muta la forma, si vela e disvela, si sposta velocemente da un capo all’altro della città di Gerusalemme e della Palestina. Ad un certo punto scompare sotto gli occhi degli Apostoli nella nuvola dell’Ascensione che lo copre. La stessa luce radiante avvolgeva Gesù alla Trasfigurazione e quando apparve a San Paolo, per cui egli aveva evidentemente il potere di dominare la materia del suo corpo, sin nelle sue componenti subatomiche. Per lui le leggi della fisica erano modificabili a piacimento. Ed erano, altrettanto evidentemente, un dato a lui noto.

In conclusione, abbiamo le seguenti evidenze: una radiazione proveniente da un corpo morto ha causato l’immagine sindonica; questa radiazione venne dalla lunghezza, dalla larghezza e dalla profondità di tale corpo; essa consistette di protoni, neutroni e particelle alfa; tale evento accadde nella tomba di Gesù; il corpo disparve dal lenzuolo in seguito a tale processo; ciò accadde due o tre giorni dopo che il corpo fu avvolto nel lenzuolo; l’avvenimento accadde nel I secolo; il lenzuolo non è stato separato dal corpo da una mano umana o meccanica in quanto non vi sono alterazioni delle tracce impresse dal secondo sul primo; solo la scomparsa del corpo spiega il modo in cui le tracce si sono impresse; solo l’irradiazione può produrre quel tipo di tracce; il corpo glorioso di Cristo Risorto era in grado di smaterializzarsi ed era luminoso anche nella Trasfigurazione; dopo la Resurrezione non aveva più ferite; il Cristo dunque morì e fu sepolto avvolto nel lenzuolo e da esso uscì vivo e in una condizione sovraumana.

Possiamo poi ulteriormente arricchire il quadro degli eventi accaduti nel Sepolcro senza alcun testimone umano aggiungendo che, se equipariamo l’immagine sindonica ad una lieve bruciatura causata dall’energia della radiazione, possiamo misurarla tra 106 e 107 Joules. Ovviamente, si riscaldò anche l’aria interposta tra il corpo e il lino. Se stimiamo almeno di un centimetro la distanza tra l’uno e l’altro – ma la distanza cambiava da parte a parte del corpo – e se l’aria assorbì il calore, la temperatura salì dai 27° ai 134° C tra il lenzuolo e il corpo stesso e attorno ad essi. Il riscaldamento dell’aria racchiusa accrebbe la sua pressione dal 35% al 276%, ossia da 0.35 a 0.76 atmosfere, facendo saltare in aria, verso il tetto della tomba, lo strato superiore della Sindone e il sudario che era sul capo di Gesù. Ecco perché la Sindone e il sudario furono trovati, secondo il Vangelo di Giovanni, rispettivamente per terra e in un luogo a parte. Anche se questo non spiega perché il secondo fosse piegato e l’altra no, a meno che non si intenda la piegatura come un avvolgimento, prodotto dal mulinello di aria.

Altri elementi sono evidenziabili mediante ricerche chimiche. Per esempio l’alta concentrazione di bilirubina nel sangue impresso sul telo per contatto con il corpo in esso contenuto si addice alle condizioni traumatiche in cui fu versato. Le macchie di sangue sono penetrate nel telo mostrando cementazioni tra loro delle fibre e un flusso capillare sotto i fili incrociati di esso. Tutte le tracce ematiche mostrano aloni di siero attorno a ciascuna ferita. Questo è un ennesimo elemento che impedisce di credere che la Sindone sia un dipinto fatto con sangue umano, usato prima che avvenisse la reazione di formazione dell’immagine e fuori dal contesto tridimensionale della stessa. Il sangue coagulato sulla pelle ferita si è trasposto sul telo per fibrinolisi, avvenuta durante le prime trentasei ore di contatto.


ELEMENTI DEDUCIBILI DALL’ANALISI MEDICA E BIOLOGICA DELLA SINDONE

La prima risultanza di un esame medico della Sindone è la conferma della notizia del Vangelo di Giovanni che, citando l’Esodo, afferma che a Gesù non fu spezzato alcun osso. Egli non ebbe alcuna frattura, nonostante l’atroce e disumana violenza a cui fu sottoposto e che pure il lino conferma con la sua eloquente, muta testimonianza. Cominciando proprio dalle ossa e dal loro coinvolgimento nella Passione, dalla Sindone desumiamo che molte spine hanno perforato la cute della testa di Gesù, raggiungendo il cranio, attorno al quale erano disposte come una calotta. I chiodi con cui fu trafitto Gesù, chiodi da ferro di cavallo, erano lunghi dai quindici ai venti centimetri e hanno trapassato le sue mani nel cosiddetto punto di Destot, senza però fratturarlo. La stessa cosa è avvenuta con i chiodi, anch’essi da ferro di cavallo e anch’essi lunghi quindici centimetri circa e dal diametro di nove millimetri, infilati nei suoi piedi: nessun osso è stato danneggiato. Analogamente, la lancia che gli ha trafitto il costato non ha scalfito alcuna costola. Lo scheletro di Gesù era forte, sano e perfettamente simmetrico nelle sue componenti quando egli era vivo, nonostante la posizione della spalla destra sulla Sindone sia più in basso rispetto alla sinistra, come vedremo. Aveva ossa larghe e lunghe. Egli era alto, sulla base dei dati raccolti con l’esame medico, circa un metro e ottanta, pesava circa settantotto chili e aveva una grande vitalità e una perfetta struttura fisica.

Le ferite inflitte al “più bello dei figli degli uomini”, come dice il Salmo, possono essere catalogate in base alle parti del corpo in cui sono collocate. La flagellazione si concretizzò in un impasto di sangue e sudore e il corpo non poté traspirare. Il cuore andò in tachicardia. Le gambe erano tenute leggermente separate perché Gesù non cadesse. La frusta era il flagrum o flagellum, ossia aveva un manico metallico coperto di pelle lungo circa trenta centimetri e tre cinghie di quaranta centimetri l’una, coperte di pelle anch’esse, da ciascuna delle quali pendevano almeno due palle di piombo o di osso. Gesù ricevette da questo arnese più di cento colpi, il cui numero evidentemente va moltiplicato per le sue cinghie e poi per i suoi pendagli. Mentre veniva flagellato, il suo cuore aveva una media di centosettanta battiti al minuto e la pressione salì a duecentodieci, con una conseguente liberazione di adrenalina e poi di acetilcolina, che resero Gesù completamente esausto. Si possono contare alcuni dei colpi ricevuti da Gesù e riprodotti sulla Sindone, senza escludere che altri non siano rimasti impressi: sulle spalle e sulle scapole, cinquantaquattro; sulla vita e sui reni, ventinove; sull’addome, sei; sul torace, quattordici; sulla dorsale della gamba destra, diciotto; su quella della sinistra, ventidue; sulla parte frontale della gamba sinistra, undici; sul braccio destro, da entrambi i lati, venti; sul braccio sinistro, da entrambi i lati, quattordici; sulle orecchie, due; sui testicoli, due; sui glutei, quattordici. A questa pioggia di colpi aggiungiamo alcune ferite leggere e alcuni tagli causati dalle cinghie di cuoio della frusta. Perciò, dalla ricostruzione computerizzata dell’immagine dorsale di Gesù, a colpo d’occhio le ferite appaiono essere state qualche migliaio, tra grandi e piccole, come se un uragano di indicibile strazio si fosse abbattuto sul Redentore.

La corona di spine era, come dicevamo, una calotta che coprì tutta la testa di Gesù. Fu intrecciata coi rami della Gundelia Tournefortii. Secondo l’esame medico a cui ci stiamo rifacendo, più di trenta spine trapassarono il suo capo, ma altri calcoli innalzano, come dicevamo, da cinquanta a settanta queste terrificanti perforazioni. C’erano ferite su tutta la sua testa, specialmente sulla fronte, sul sopracciglio destro, sullo zigomo destro, sul labbro inferiore, sulla nuca e sul naso, evidentemente non tutte causate dalle spine, ma anche dagli schiaffi e dai colpi inferti a Gesù dai sinedriti, dai loro servi e dai soldati romani. La corona di spine toccò, tra i principali punti su cui fu infissa, i nervi occipitale, superficiale temporale, superiore trocleare, angolare e facciale, producendo spasmi inenarrabili e dimostrando di avere come dei prolungamenti pendenti o di essersi spostata quando Gesù cadde sotto la croce o quando egli, durante la crocifissione, ebbe movimenti inconsulti del capo all’indietro. Ogni volta, i volenterosi carnefici dovettero riaggiustargliela.

Il patibolo fu caricato sulle spalle di Gesù ed egli dovette portarlo fino al Calvario. Il legno era approssimativamente lungo un metro e settanta, largo quattordici centimetri e pesante più di cinquanta chilogrammi. Portando la croce Gesù cadde tre volte e dopo la prima egli non poté più stare in piedi e Simone di Cirene lo aiutò a portare il legno. Personalmente credo che per un tratto Gesù portò non solo il patibolo ma anche l’asse verticale della croce, che non era stato piantato sul Calvario in quanto la sua esecuzione non era stata prevista. Portò le due assi legate tra loro già a forma di croce, sulla spalla destra. Ma ben presto la caduta di Gesù dimostrò che il peso da trasportare era troppo grande anche per un uomo robusto come lui, oramai già esanime. In ragione di ciò proprio l’asse verticale ad essere affidato a Simone di Cirene, mentre il patibolo rimase sulle spalle del Redentore, cosi da causare ulteriori cadute.

Due gravi ferite furono causate dal patibolo. Una fu sulla scapola sinistra e l’altra su quella destra. La ferita sinistra aveva il diametro di circa dodici centimetri, un cuore scuro con scremature attorno e perdita di pelle al centro. La ferita destra era un poco più piccola ma aveva le stesse caratteristiche. Le ferite sono la prova che durante il trasporto del patibolo le braccia di Gesù erano in abduzione, ossia erano tirate e tenute lontane dalle ascelle. In queste condizioni Gesù giunse al Golgotha. Il patibolo toccò e interessò, fra gli altri, i seguenti punti delle spalle di Gesù: le fibre trasversali del trapezio, il trapezio stesso, l’infraspinato, la scapola e il suo spinale, infliggendo altri lancinanti dolori al Redentore. Le cadute lungo il tragitto causarono alcune ferite con bordi irregolari sulle rotule. Il ginocchio sinistro presenta una piaga aperta molto più grave, una piccola più in alto e sul lato esterno, con due piaghe rotonde aperte di due centimetri di diametro sull’area laterale. Il ginocchio destro presenta ferite meno evidenti e meno numerose. Le ginocchia hanno segni di frustate e di palle di piombo, oltre che di lacerazioni nelle cadute. I colpi e le cadute interessarono la safena, l’aponeurosi, la patela e il nervo della safena.

Gesù fu inchiodato sul braccio trasverso della Croce, il patibolo appunto, con due chiodi che attraversarono, come dicevamo, il punto di Destot, nell’area del carpo, formato dalle ossa dette semilunare, piramidale, capitato e amato. Ne conseguì una semiparalisi del nervo mediano per lesione delle mani. Furono interessati dallo strazio conseguente i tendini del muscolo flessore superficiale delle dita e il retinacolo del flessore. Dopo aver inchiodato le mani, i carnefici fissarono il palo verticale e inchiodarono pure i piedi. Il sinistro era appoggiato sul destro e questo sul legno. Fu usato un solo chiodo, che attraversò il secondo e il terzo metatarso e che lasciò una macchia di sangue che coprì tutta la superficie del piede. Ci furono lacerazioni nei muscoli, nelle vene e nei nervi, che causarono il gocciolamento del sangue lungo il picciolo del chiodo. Furono interessati i tendini dell’estensore lungo delle dita del piede, quello dell’estensore dell’alluce e l’arco della dorsale venosa. Queste spasmodiche sofferenze non possono essere comprese e immaginate con la dovuta misura.

Alle tre del pomeriggio, Gesù morì. Non avendo potuto finirlo mediante la rottura delle ginocchia che avrebbe causato l’asfissia, il centurione, volendo essere sicuro che il condannato fosse morto e non solo svenuto- sebbene da svenuto sarebbe morto lo stesso asfissiato, in quanto i crocifissi non potevano respirare se non facendo leva sui piedi inchiodati e raddrizzando le gambe appena flesse, onde ridurre lo stiramento delle braccia inchiodate anch’esse e poter così muovere la cassa toracica nel respiro – decise di infliggergli un colpo di grazia. Una lancia produsse una ferita lunga quattro centimetri e larga un centimetro e mezzo. La lama trapassò la pelle, la carne, i muscoli, l’aponeurosi, la pleura, i polmoni, il pericardio, il muscolo cardiaco e l’atrio destro del cuore. Questa ferita versò sangue venoso e liquido pleurico e pericardico1. Fu uno scempio, l’ultimo inflitto a quel corpo straziato. Ma anche una sicurezza per i posteri sulla reale morte di quel Gesù che poi sarebbe tornato in vita.

La morte di Gesù, com’è noto, fu più rapida di quella degli altri crocifissi in genere, tanto che i due altri condannati gli sopravvissero e vennero finiti col crucifragio. Dalla ferita del colpo di grazia inflittogli per sicurezza, come abbiamo appena detto, uscirono sangue e acqua, per usare la terminologia evangelica. La cosa appare strana per l’assenza di pressione sanguigna in un cadavere. Si è dedotto che Gesù sia morto per una rottura di cuore con conseguente versamento di sangue nel pericardio. Ciò è attestato dalla rapidità della morte, dal forte grido emesso al momento del decesso e dalla presenza di un copioso versamento ematico nella cavità pericardica. La diagnosi precisa è infarto miocardico con conseguente emopericardio. Una simile patologia sorprende in un uomo giovane ma date le sofferenze inflitte a Gesù non dovrebbe meravigliare. In effetti le prime avvisaglie dell’infarto, con un’interruzione dei vasa vasorum, successiva ad un intenso spasmo arterioso conseguente ad un episodio di stress, si hanno dal Gethsemani, quando l’agonia produce una immensa angoscia in Gesù arrivando al sudore di sangue, fenomeno naturale assai raro che in lui ha dimensioni abnormi, inspiegabili anch’esse come tutto quello che andiamo esponendo. Gesù in effetti fece a se stesso una enorme violenza, accettando di compiere la volontà salvifica del Padre a prezzo della sua vita, che sarebbe stata data in un modo crudelissimo, che egli ben conosceva. Seguirono il tradimento di Giuda, i maltrattamenti di chi lo ebbe in sua balia, l’arresto, l’abbandono dei discepoli, il rinnegamento di Pietro, i processi religiosi e civili, la flagellazione, la coronazione di spine, il viaggio al Calvario con la croce in ispalla, la crocifissione e le ore trascorse sul patibolo. In seguito vi fu versamento emorragico e conseguente ostruzione vascolare. Concause di questa morte furono senz’altro l’asfissia e il dissanguamento con conseguente disidratazione. Meno accettabili il collasso ortostatico, l’emotorace e la pericardite sieroso-traumatica.

Soffermandoci ora in particolare sulle ferite dei piedi, diciamo innanzitutto che nella sepoltura l’estremità anteriore della Sindone fu messa tra il plantare del piede sinistro e il dorso delle dita del destro, col lembo posteriore piegato sopra. Sul telo anteriore si trovava la punta del piede sinistro e il calcagno di esso stava sul lembo posteriore. Il piede destro si trovava tutto sul lembo posteriore ma con le dita sotto il lembo anteriore. Nell’immagine anteriore della Sindone, sul prolungamento non visibile della gamba destra, si vede la punta del piede sinistro, riconoscibile dalla posizione dell’alluce. L’impronta del sangue, assai netta, permette di riconoscere l’incisura tipica della falange distale dell’alluce. Il sangue si consolidò sulla pelle durante la crocifissione.

Sulla faccia anteriore della Sindone vista nel positivo, a sedici centimetri e mezzo in alto a partire dal bordo e a otto centimetri a destra dall’estremità dell’alluce sinistro, vi è una macchia rotonda del diametro di tredici millimetri, di vero sangue, come dimostra anche la sua presenza nella foto a luce trasmessa.

Il piede sinistro deve quindi essere immaginato con i primi tredici centimetri della sua punta sul telo anteriore e i restanti sedici sul telo posteriore. La punta del piede destro si

troverebbe accostata a quella del sinistro, ma coperta dal telo anteriore. Il piede destro sarebbe con tutta la pianta distesa sul lembo posteriore. Le tracce a punte di freccia, costituite da vero sangue, sono dovute al sangue affiorato dal dorso del piede destro. Esse tracciano dunque il contorno del foro del chiodo del piede destro con una colata verso il basso dovuta alla posizione orizzontale del corpo nel sepolcro. Il coagulo rotondo di 13 millimetri coprì il foro del chiodo del piede sinistro. Accostando le immagini dei due lembi anteriore e posteriore della Sindone vediamo che il contorno del foro tracciato dalle due tracce a punte di freccia, sarebbe a venti centimetri dal calcagno destro, a prova che il foro del piede destro era nella stessa posizione del sinistro. Dalla radiografia del piede lungo ventotto centimetri e mezzo risaliamo all’altezza di Gesù, questa volta calcolabile in centottantasette centimetri (vi sarebbe dunque uno scarto significativo tra l’altezza così calcolata e quella misurata sull’impronta sindonica), e constatiamo la larghezza di dodici millimetri del primo spazio intermetarsale. In questo modo, non vi furono fratture al momento dell’infissione del chiodo. L’impronta sanguigna del piede destro era lunga venti centimetri e larga sei centimetri e mezzo.

Durante la deposizione dalla Croce il corpo di Gesù rimase appeso solo per le mani per venti minuti, coi piedi appoggiati a terra, mentre durante la crocifissione completa il patibolo era stato sospeso a due metri da terra. I due piedi rimasero comunque sovrapposti. La deposizione fu ritardata perché Giuseppe di Arimatea si era recato da Pilato per chiedere il permesso di seppellire il corpo. Il sangue dalla punta del piede destro cadde così per terra e assorbito dal terreno. La punta del piede sinistro mantenne i coaguli palmari perché non toccava il terreno. La compressione del piede destro sul terreno fermò il flusso del sangue dall’interno della gamba destra. Cessata la compressione, in posizione orizzontale, il sangue riprese a fluire macchiando i due terzi posteriori della pianta del piede destro. Deposto sul telo, il sangue formò le due macchie a destra del calcagno destro. Le tracce sanguigne sul telo dal calcagno sinistro sono meno estese perché il flusso di sangue ipostatico dalla gamba sinistra e trasmesso al terreno era stato maggiore di quello della gamba destra. Nel sepolcro, con la pianta del piede destro in verticale, il sangue, uscendo dal foro del chiodo, ha macchiato tutto il tratto sottostante della pianta stessa, pari a venti centimetri. Considerandolo lungo ventotto centimetri e mezzo, se sottraiamo i venti centimetri confermiamo che il foro era alla distanza di otto centimetri dall’estremità dell’alluce dietro il legamento intermetarsale.

Lo studio ematochimico ha attestato che il sangue di Gesù, così generosamente e drammaticamente versato per l’umanità, era del raro gruppo AB, appartenente solo al 5% della razza umana, lo stesso rintracciato nelle tracce ematiche di molti miracoli eucaristici, a cominciare da quello di Lanciano del 750 fino a quello di Tixla nel 2006, e in quelle sul Sudario di Oviedo.

Un altro elemento degno di nota è la posizione della spalla destra, asimmetrica nella salma rispetto alla sinistra, in quanto dislocata più in basso. Le dita della mano destra sono in un doppio rigor mortis. Analogamente, durante la crocifissione, la posizione delle braccia non deve essere stata la medesima, per cui il braccio destro non era perfettamente parallelo al sinistro, anche se i crocifissori devono aver fatto di tutto per allinearlo. Come sappiamo, Gesù portò sulle spalle il solo patibolo, o almeno il palo verticale gli fu tolto dalle spalle e dato a Simone di Cirene dopo la sua prima, tradizionale caduta sulla via della Croce. Il palo verticale fu poi infisso nel terreno del Calvario al momento, non essendo la crocifissione di Gesù stata prevista, a differenza di quella degli altri due condannati. Che Gesù sia caduto più volte portando la Croce completa e poi dimezzata è un dato incontrovertibile. I resti di granelli di sabbia e le tracce di lividi sul viso e sulle ginocchia lo dimostrano. Ma le mani, specialmente quella destra, hanno ferite particolari che non si spiegano con la caduta. Si può dedurre che Gesù, cadendo la prima o la seconda o anche la terza volta, per cercare di proteggere, istintivamente, il volto, abbia cercato di parare il colpo portando il braccio destro in avanti, non essendo mancino. Siccome però il braccio era fissato al patibolo egli poté solo ruotare parzialmente su se stesso, senza preservare del tutto il volto e danneggiando le mani e le dita. Esse, fissate al patibolo, non si ruppero, ma si ferirono con una lesione del plesso e soprattutto, non potendosi muovere a difesa del viso, produssero una sublussazione inferiore della spalla, una dislocazione. Le dita rimasero rigide e i pollici nascosti dal palmo. In un certo senso erano già morte quando Gesù era ancora in croce. Il peso del trasporto del patibolo, in conseguenza della lussazione della spalla destra, gravò soprattutto sul braccio sinistro.

Una conseguenza di questa lussazione sarebbe l’impossibilità di crocifiggere Gesù col braccio destro teso, che dovrebbe esser stato ad angolo quasi retto. Il che è smentito dalla tradizione e non è supposto da altri sindonologi, che anzi mostrano altre evidenze a cui abbiamo fatto riferimento, ad esempio sulla perpendicolarità dello scolo del sangue all’asse patibolare lungo la mano e il polso, che smentisce la posizione ad angolo retto. Su questo punto perciò la discussione credo debba proseguire.

Significativo è che dalla Sindone Gesù risulta sia stato seppellito con le mani disposte ad X sul suo corpo. Era questa una usanza funeraria tipica di Qumran e poteva essere adottata per umiltà, per povertà e per la frettolosità di un rituale di sepoltura. Questo attesta in ogni caso che usanze cumariche erano, ancora una volta lo riscontriamo, presenti tra i discepoli di Gesù. La sua sepoltura inoltre avvenne con posture della salma che echeggiavano la prassi egiziana del periodo di Tiberio, posture che, oltre ad influire sull’iconografia successiva, contestualizzano maggiormente al I sec. l’origine della Sindone e della sua immagine. Lo studio del modo in cui esse furono recepite dai discepoli di Gesù e combinate con le usanze funerarie più comuni contribuirebbe non poco a contestualizzare meglio la vita della comunità dei discepoli radunata attorno al Maestro fin da quando egli era ancora nel mondo.

a cura di Gianvito Sibilio


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