Salute e Benessere: Hikikomori, quando il silenzio diventa un urlo sociale
In Italia sono oltre 200 mila i giovani che vivono chiusi nelle loro stanze. Non per scelta creativa, non per temporaneo bisogno di solitudine, ma per un ritiro sociale radicale che porta un nome giapponese: Nikikomori. Un fenomeno che negli anni ottanta sembrava confinato solo in Giappone e che oggi in un Italia che cambia sempre più velocemente, trova terreno fertile anche nei nostri giovani. Il termine significa letteralmente "stare in disparte". La prima definizione clinica del termine fu data nel 1998 dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito che notò che il ritiro sociale non fosse una condizione passeggera, ma potesse dilatarsi in anni e spazi interiori.
All' inizio riguardava studenti giapponesi incapaci di reggere la pressione scolastica. Oggi però non possiamo più pensarlo come un problema lontano. La stanza diventa quindi un luogo di rifugio, e gabbia.
Gli Hikikomori non sono pigri, ma semplicemente asociali. Sono ragazzi che hanno sperimentato ferite, ansia da prestazione, giudizio costante, sensazione di non essere mai abbastanza. La loro stanza inizialmente luogo sicuro, protetto dal rumore esterno, lentamente si trasforma ingabbia, il letto diventa isola, il computer un unico ponte con il mondo.
Una differenza sostanziale rispetto agli anni ottanta e l' arrivo del mondo digitale. Smartphone e social nati per connettere, in molti casi amplificano l' isolamento. Chi si sente fragile trova nei videogiochi, nei forum, o nei social un' identità alternativa, un avatar meno esposto al giudizio.
Ma più il legame con il mondo online si rafforza, più diventa difficile sostenere quello reale.

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