Giornata consapevolezza sull' autismo: inutile parlare di inclusione se si isola il lavoratore che ricorre alla Legge 104
Il 2 di aprile ci celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull' Autismo, un occasione per parlare di includere e di diritti. Ma la parola "inclusione", così spesso sbandierata dalle istituzioni e aziende quando viene messa davvero in pratica, spesso dietro le dichiarazioni di principio, si nasconde una realtà ben diversa: quella di genitori costretti a lottare contro discriminazioni e ingiustizie solo perché cercano di garantire ai propri figli con disabilità le cure di cui hanno bisogno.
La legge 104/92 è uno dei pilastri della tutela delle persone con disabilità e dei loro famigliari. Tra le agevolazioni previste, ci sono tre giorni di permesso retribuiti al mese, indispensabili per accompagnare i figli alle terapie e gestire le loro necessità quotidiane. Un diritto sacrosanto frutto di battaglie sindacali e sociali.
Eppure in molti ambienti di lavoro questa legge non è vista come diritto ma come fastidio. Chi ne usufruisce viene spesso penalizzato, isolato, relegato a mansioni inferiori. Ed è proprio qui che emerge un paradosso amaro: la legge che dovrebbe garantire dignità e supporto si trasforma nei fatti in una trappola. Ti permette di assistere un figlio disabile, ma la tempo stesso condanna all' isolamento professionale, in cui clima di sospetti e discriminazioni silenziose.
Prima di iniziare a usufruire dei permessi previsti dalla Legge 104, un lavoratore che ricopre un ruolo di rilievo nell' azienda del suo team aziendale ha compiti di responsabilità e un certo riconoscimento professionale. Poi, improvvisamente tutto cambia, non appena inizi a prendere quei giorni per assistere il proprio figlio, accade che vieni spostato di reparto. In primo momento pensi che si tratti di una normale riorganizzazione aziendale, ma ben presto si rende conto che non è così: il suo ruolo viene progressivamente ridimensionato, fino ad essere assegnato a mansioni ben al di sotto della propria categoria.
Seguono poi silenzi, dinieghi, giustificazioni vaghe. Una strategia subdola per metterlo alle strette, per fargli capire che quei permessi sono scomodi, che la sua presenza sia diventata un peso. In una società che si riempie la bocca di "inclusione" i più forti resistono e i più deboli cadono. Ma alla fine di tutte quelle belle parole sbandierate nella pratica non resta nulla.
A quanto pare viene normale chiedersi dov'è l' inclusione, dov'è il rispetto per un genitore che ogni giorno si sacrifica per garantire le necessarie terapie a suo figlio, viviamo in una paese dove le leggi solo sulla carta tutelano i lavoratori. Ma nella realtà, chi fa valere i propri diritti subisce ritorsioni sottili, difficili da dimostrare, ma dolorosamente reali. Eppure l' inclusione vera si costruisce proprio nei luoghi di lavoro, nelle aziende, nei reparti, nelle scelte quotidiane di chi ha il potere di decidere se un dipendente deve essere valorizzato o messo da parte.
Purtroppo, ancora oggi i lavoratori che usufruiscono della legge 104 vengono visti come un problema. E questo non solo nelle aziende private, ma anche nel settore pubblico: un segnale preoccupante che dimostra quando siano ancora lontano da una cultura dell' inclusione. In molti casi si trova di fronte a un muro e alla fine il lavoratore si ritrova con una scelta amara: accettare la discriminazione e continuare a lavorare in un ambiente ostile o far valere i propri diritti e subire le conseguenze che nella pratica significano perdere ogni motivazione professionale e ritrovarsi isolati.
Una società davvero inclusiva non lascia solo i genitori, ma li sostiene nella battaglia più importante: quella per il futuro dei propri figli.
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