Risse, adolescenti e solitudini: il malessere dei minori tra i dodici e i sedici anni. Uno su sette soffre di ansia, apatia, attacchi di panico, senso di inadeguatezza
Non si tratta soltanto di una rissa tra giovani sotto il municipio di Rovigo. Non è solo una faccenda di "baby gang", né basta etichettare come "maranza" un gruppo di ragazzi che disturbano o sporcano. La perfetta Franca Tancredi, in un intervista al Gazzettino, lo ha detto con cautela, ma con chiarezza che si manifesta con pugni tra i tavoli è un disagio che riguarda una fascia precisa soprattutto quelli tra i dodici e i sedici anni ed è un disagio che ha radici sociali, relazionali, educative.
Il punto non è nuovo. Ma se torna a farsi visibile in un gesto plateale, violento, forse è perché le risposte finora sono parziali. E' soprattutto dove laddove si parla di sicurezza, si fa fatica a parlare di relazioni.
Il dato comune la violenza tra i giovani cresce
Dalla provincia al centro urbano la situazione non cambia molto. Secondo Europol i dati commessi da minori sono aumentati, rispetto al 2020 in Italia del 26 percento. Si tratta spesso di episodi spontanei, non per questo meno gravi: sono segnali di qualcosa che cresce in profondità.
Gli esperti parlano di "trasformazione del conflitto": il disagio che prima di manifestava in forme più silenziose, isolamento, disinteresse, abbandono scolastico, oggi prende una piega più esplosiva. Non è solo l' adolescente fragile e isolato: è il gruppo che cerca identità nel contrasto, nella rottura delle regole, nell' atto simbolico di spaccare qualcosa. E quando mancano alternative credibili l' atto si ripete.
Disagio giovanile un fenomeno che si allarga
Nl frattempo le ricerche raccontano una realtà compatta. L' UNICEF stima che circa un adolescente su sette conviva con un disturbo mentale diagnosticato. Se si includono le forme non cliniche, ansia, apatia, attacchi di panico, senso di inadeguatezza, il numero cresce. Secondo Censis e Istat, quasi la metà dei giovani tra i diciotto e i ventisette anni riferisce sintomi depressivi. Il bullismo nella vita reale o online tocca un terzo degli studenti delle superiori. E uno quattro dichiara di aver aperto profili falsi per sfuggire da se stesso. Tutto questo accade mentre la povertà minorile peggiora: l' 11,7 percento dei ragazzi sotto i sedici anni vive in condizione di deprivazione sociale e materiale. Ma non è solo una questione economica. Il disagio, in alcuni casi, è una combinazione sottile di assenza: assenza di sguardi, di spazi, di adulti disponibili, di tempo condiviso. Una solitudine che non è sempre visibile, ma che esiste.
Il limite della scuola
Tancredi lo dice chiaramente: non si può demandare solo alla scuola il ruolo educativo. Perché in molti casi le scuole sono diventate un argine esile contro qualcosa che non riescono più a contenere. E non per mancanza di volontà, ma per carico, per struttura, per mancanza di strumenti. Quando il disagio arriva in classe è già tardi.
Ci sono scuole che resistono, che aprono sportelli d' ascolto, che promuovono la co-progettazione con le famiglie. Ma mancano le reti. Quando l' insegnate resta solo, quando la dirigente non ha fondi, quando la famiglia è lontana o in crisi, la scuola non basta.
Ricostruire una comunità educante
Negli ultimi anni si è tornato a parlare di "comunità educante". Non come slogan, ma come necessità concreta. Serve un patto che tanga insieme scuola, famiglia, terzo settore, sport, cultura e amministrazioni locali. Non per creare grandi progetti, o centri polifunzionali, ma per offrire normalità: palestra aperta la sera, un laboratorio dopo le lezioni, un adulto che ascolta senza giudicare.
L' idea è semplice: dare ai ragazzi luoghi dove esistere, non solo dove stare. Occasioni di aggregazione vera, dove non sia necessario farsi notare con un pugno. Dove qualcuno, anche solo per un' ora, guardi davvero nei loro occhi.
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